Perché la membership è il metodo di pagamento più remunerativo per l’azienda e magnetico per il cliente finale?

Netflix, Amazon Prime, Google Drive, la Creative Suite, videocorsi e milioni di altri servizi, tutti venduti attraverso un corrispettivo mensile fisso, apparentemente irrisorio. Nelle strategie di pricing, la membership sta…

Netflix, Amazon Prime, Google Drive, la Creative Suite, videocorsi e milioni di altri servizi, tutti venduti attraverso un corrispettivo mensile fisso, apparentemente irrisorio. Nelle strategie di pricing, la membership sta pian piano diventando l’opzione preferita da aziende di qualsiasi dimensione.

Chi mastica bene la matematica è consapevole che nella stragrande maggioranza dei casi questo metodo al cliente finale non conviene affatto. Ma allora perché compriamo così facilmente un servizio in membership (o abbonamento)? Spieghiamolo attraverso la straordinaria economia comportamentale.

Daniel Khaneman è lo psicologo che ha vinto il nobel per… l’economia proprio grazie alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza di cui tratta ampiamente nel libro Pensieri lenti e veloci. All’interno di questo testo vengono ampiamente argomentate e provate le tesi di economia comportamentale, tra cui quelle relative al pricing di cui parlo in questo articolo.

Tutti noi siamo mossi da una lunghissima serie di impulsi inconsci tra cui le euristiche (meccanismi che ci facilitano le scelte) e i bias (pregiudizi che possono portare all’errore), tra cui il framing e l’avversione alla perdita.

Quando mettiamo mano al portafoglio, implicitamente ci predisponiamo a “perdere” del denaro, a distaccarci da esso. E il distacco fa male. Basti pensare che la visione del simbolo della valuta (€, $, £, ecc…) o di un registratore di cassa, attiva nel cervello le aree in cui si trovano i recettori del dolore. Questo è uno dei motivi per cui Apple i registratori di cassa nell’Apple store li ha nascosti. Al contempo però calmieriamo il nostro senso di dolore se il prezzo percepito è basso o comunque ragionevole rispetto a una seconda o terza opzione.

Approfondiamo i concetti.

Il framing o “effetto contesto”

Il frame, cioè il contesto in cui l’individuo si trova a scegliere, ha un effetto determinante sulla scelta stessa. In particolare il modo in cui il problema viene formulato influisce sul modo in cui l’individuo percepisce il punto di partenza (o ‘‘status quo’’), rispetto a cui valutare i possibili esiti delle proprie azioni.

Quindi, parafrasando la definizione del framing, possiamo intuire che il modo in cui una scelta viene proposta cambia drasticamente l’esito della decisione, anche a parità di risultati. Facciamo un esempio applicato a come parliamo del pricing di un prodotto:

  1. Questo cappotto costa solo €800: lascio intendere che è un prodotto con valore ben superiore rispetto al prezzo esposto
  2. Questo cappotto costa ben €800: lascio intendere che il valore forse non corrisponde al prezzo esposto

E di conseguenza possiamo immaginare a come esponiamo il pricing di un prodotto:

  1. Costa €9.99 al mese
  2. Costa €119,88 all’anno

Stesso pricing, percezione completamente differente.

L’euristica degli ancoraggi e il prezzo percepito

Quando decidiamo se un prezzo è alto o basso, comunque ci affidiamo a un “ancoraggio”.

Siamo “ancorati” a un valore specifico che diamo al bene che siamo in procinto di comprare, basato su ciò che quel dato bene rappresenta in rapporto alla nostra personale scala di valori, alle esperienze, a ciò che conosciamo di quel dato mercato.

Se guadagno €800 al mese, un cappotto da €100 mi sembrerà molto costoso, poiché rapportato alle mie possibilità “vale” (attenzione a questo verbo che ho scelto!) 1/8 del mio indotto mensile.

Ma se io ogni mese porto a casa €8.000, l’acquisto di un cappotto da €100 avrà su di me lo stesso “valore” che per l’acquirente del caso precedente ha una colazione al bar. Una concessione di piacere che non impatta minimamente sull’andamento del conto in banca. Se lo stesso esempio non lo rapportiamo alla capacità di spesa, ma alla marca, entrambi i nostri acquirenti saranno d’accordo che €100 per un cappotto di Piazza Italia è una follia, ma €100 per un cappotto Burberry è talmente poco da generare diffidenza.

L’avversione alla perdita e come agisce nelle decisioni d’acquisto

“Per la maggior parte degli individui la motivazione a evitare una perdita è superiore alla motivazione a realizzare un guadagno.

Questo principio psicologico generale, che è probabilmente collegato a una sorta di istinto di sopravvivenza, fa sì che la stessa decisione può dare origine a scelte opposte se gli esiti vengono rappresentati al soggetto come perdite piuttosto che come mancati guadagni. Ad esempio è più facile rinunciare a un possibile sconto piuttosto che accettare un aumento di prezzo, anche se la differenza tra il prezzo iniziale e quello finale è la stessa”

Il mix tra framing, ancoraggi e avversione alla perdità dà molte spiegazioni in merito all’efficacia di un approccio in cui il prezzo viene maggiorato, ma diluito nel tempo.
Per quanto possa sembrare controintuitivo spendere nel lungo periodo una cifra molto alta a fronte di una spesa immediata molto più bassa, questo è ciò che di fatto accade nei comportamenti d’acquisto e che la scienza ha ampiamente dimostrato.

Conoscere i meccanismi psicologici prima di definire le modalità di vendita di un prodotto significa avere un vantaggio competitivo enorme rispetto a chi decide senza basi scientifiche.

Carlotta Silvestrini

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